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Cosmopolis, o del collasso del Sistema

28 Mag

Nonostante il lavoro che faccio, o meglio, uno dei tanti lavori che faccio, negli ultimi anni sempre più di rado mi capita di entusiasmarmi per un film. Posso trovarlo gradevole, nella maggior parte dei casi orribile o inutile. Trovarmi di fronte a un prodotto che sia classificabile come opera è nella maggior parte dei casi una chimera. Ogni tanto c’è qualcuno che riesce ancora a stimolare il mio ormai arrugginito gusto cinematografico, per non parlare della mia professionalità critica.

Cosmopolis è uno dei migliori Cronenberg di sempre, un film che unisce il racconto non lineare tipico di Don DeLillo con le ossessioni cinematografiche del regista canadese. La trasformazione, il crollo, il doppio, la sovversione, non manca niente in questa magnifica riduzione cinematografica di uno dei romanzi più complessi e crudi dello scrittore americano, di cui un giorno sarebbe bello poter godere di una versione per il grande schermo del suo capolavoro Underworld, una sfida impossibile e affascinante.

Ma considerazioni cinematografiche a parte, tra cui è doveroso segnalare anche l’ottima interpretazione di un sorprendente Robert “Edua” Pattinson, quello che maggiormente impressiona di Cosmopolis è l’eccezionale lavoro di identificazione linguistica che Cronenberg ha operato sull’opera di DeLillo, riportando sullo schermo tutte le ellissi della sua scrittura e la dirompenza rivoluzionaria della sua filosofia. Un caos dialettico che è in realtà un ordine universale e perfetto, teso alla distruzione senza possibilità di appello.

In questo momento storico così confuso e perennemente sull’orlo della tragedia economica e sociale, il film di Cronenberg è di grande ispirazione, perché ci offre una riflessione fondamentale: quello che facciamo e quello che siamo sono il nulla. Siamo di passaggio, per quanto potenti o per quanto microbi della società moderna, stritolati in un meccanismo basato su regole che non conosce nessuno realmente e che possono essere cambiate in ogni momento, perché di fatto non esistono.

DeLillo, e Cronenberg di conseguenza, portano sullo schermo un piéce degna del teatro dell’assurdo, ma soprattutto ci offrono un’opera sovversiva di potenza deflagrante e sana, spaccato di una storia già successa e che si ripete e che porterà, prima o poi, all’annientamento del sistema economico in cui viviamo. Un’apocalisse annunciata, dalla quale usciranno vincitori i deboli del giorno prima, abituati a combattere senza niente. Una cosa che pochi ricchi sanno fare.